Teste di kebab

Attimi di panico.

E cazzo.

No!

Cioè, di-dimmi che quelli non sono dei gambaletti!”, biascicò Iodice con la bocca allappata, fissando quella versione ridotta di un paio di autoreggenti color carne e un’unghia laccata di rosso sotto il nylon.

Cristo!”, aggiunse.

Lei lo fissò interdetta.

Lo sguardo ehm… “seducente” di un secondo prima, si era trasformato in quello ottuso di una grassa foca monaca sdraiata sul bagnasciuga.

Iodice si allentò la cravatta: la vista del rigonfiamento violaceo all’altezza del polpaccio – poco sopra l’elastico – fu come una bastonata nelle gengive. La libido gli scese dritta sotto le scarpe.

In picchiata come un missile a lunga gittata di Putin.

Ma fa caldo con i collant – provò a giustificarsi lei – e senza niente, poi mi sudano i piedi”, aggiunse provando a sfilarli in fretta, torcendosi sul letto come un rinoceronte con le emorroidi.

Ma oramai era fatta!

I gambaletti…

Ma li vendevano ancora?

Ma non erano stati messi al bando dall’ONU?!

Evidentemente no.

Iodice sospirò forte, per farsi coraggio. Del resto, come diceva sempre?

Non è mica con Monica Bellucci che si misura un vero uomo.

Lì è facile: sarebbe capace pure Don Lurio, con un pizzico di buona volontà.

È con una cinquantaduenne che mette i gambaletti color carne – sotto un paio di jeans a vita alta che le prosciugano il sedere – che ti devi misurare.

È lì la vera sfida.

O la va, o la spacca.

Là ti si deve alzare per principio, e cazzo!

Appunto.

Il Commissario chiuse gli occhi, ascetico.

Provò a immaginarsi nel giardino della Playboy House, proiettandosi mentalmente in mezzo a una decina di pin-up e conigliette seminude che si spruzzavano l’acqua lanciando gridolini sensuali.

Sentì nelle narici l’odore di figa e di cloro.

Respirò forte.

Iperveltilò.

Era pronto.

Riaprì gli occhi e…

E (cavolo, ancora!) si ritrovò faccia a faccia con due grosse vene varicose, che – tra il viola e il blu cobalto – si irradiavano dal ginocchio, fino a metà coscia come due rigogliosi rami di bougainville.

Poveraccio!

Va bene la questione di principio, ma qui si stava veramente esagerando.

Mica glielo aveva detto – quando l’aveva raccattata al bar di Zio Ciccio Benzina il giorno prima – che sottopanni stava combinata di quella maniera?!

Vatti a fidare!

Tossì un paio di volte: “Senti Carmelì… facciamo che vengo un’altra volta, eh?!”, disse spingendo a forza la camicia nei calzoni e riallacciandosi in fretta la cintura spelacchiata.

Afferrò la giacca da una sedia di fianco al comò.

Carmela D’Amico – maestra elementare al terzo circolo di Casapesenna – lo fissò con l’espressione delusa di un cane a cui avessero sequestrato l’osso, dopo averglielo fatto annusare: “Ma come?!

Avevi detto che mi dovevi montare e smontare come un comodino stasera!”, piagnucolò.

Eh!

Lo faccio, lo faccio, come no!

Ti monto come un tavolino dell’Ikea.

Però mi sono ricordato proprio adesso che ho un’emergenza di servizio.

Un’altra volta: vengo e vedi come ti combino.

Promesso!”, le assicurò strizzando l’occhio, in realtà stava pensando: “Quando cazzo mi vedi più!

E fatti la ceretta, Dio buono, che sembri un bue muschiato!”, aggiunse mentalmente, infilandosi la giacca.

Prese la porta e scese le scale borbottando bestemmie alternate a dei sonori “ma vaffanculo!”. E anche un: “Vecchia befana, ma chi ti deve fare?!”

Ritornò all’auto, e si scaraventò sul sedile pestando forte i pugni sul volante, tre o quattro volte.

Mai più inviti dalle sconosciute!”, registrò mentalmente. “Mai più!”

Meglio rimanere al sicuro, sulla roba ben collaudata, come le tette di Natasha, o quel gran pezzo di Svetlana sulla Nazionale, che Dio la benedica!

Afferrò il cellulare, sfilandolo dalla tasca della giacca. Ci trovò ben sette chiamate di Aprile: fortuna che aveva messo la vibrazione. “E adesso che diamine è successo?!”, sbottò contrariato.

Possibile che un povero Cristo non può mai scopare in santa pace?

Ehm… quasi scopare”. Tossì: “Insomma, ci sono andato vicino stavolta!”, mormorò tra i denti stretti.

Indispettito – più per il coito prematuramente interrotto, che per le sette chiamate – compose il numero del suo Ufficio alla Squadra Mobile di Caserta: “Aprile!”, grugnì quando il suo sottoposto rispose al terzo squillo.

Comandi Commissario”.

Comandi un ciufolo!

Che altro è successo che non mi fai mai stare un po’ tranquillo?

Potevo essere impegnato in un’operazione sotto copertura, adesso, lo sai?!”

La voce di Aprile sparì, inghiottita dal telefono. Poi tornò a farsi sentire, uno spettro della sua: “Hanno trovato un corpo…

Ehm… mezzo corpo.

Ehm… meno di metà.

Ehm… una testa!”.

Iodice fissò il telefono interdetto: Dio mio, questo è davvero cretino!

Aprile – sbraitò riprendendo la comunicazione – si può sapere che cazzo è successo?!

Forza, un bel respiro e raccontami tutto dall’inizio… e non balbettare!”.

Aprile soffiò forte, come aveva chiesto il Commissario – che se ce l’avesse avuto davanti gli avrebbe alzato a mezz’asta il riportino – quindi attaccò: “Hanno chiamato i colleghi di Santa Maria a Vico – provò a farsi strada tra i suoi pensieri – la testa era infilata in una edicola votiva, sopra un portone… l’ha fatta cadere un gatto”.

Iodice fissò di nuovo il telefono, poi riprese a urlarci dentro: “Ma la testa di chi?!

Aprile – Santo Iddio – soggetto, predicato e complemento!”

L’agente cercò di rimettere ordine nei suoi lobi frontali: “Beh, non è che ne sappiamo già molto… i ragazzi del Commissariato di zona ci hanno detto solo che è la testa di un uomo, una quarantina d’anni d’età, e che è stata segata via di netto, prima di infilarla nella cappellina con un cero acceso davanti”.

Caspita!

Testa-uomo-segata.

Ma che gli diceva il cervello a certa gente?

Troppi telefilm americani – Dio Buono – hanno rovinato tutti!

Un testa, rifletté contrariato. Non ne avevano più trovato una da quella volta in cui Nonno Oreste aveva deciso di provare la trebbiatrice nuova a San Clemente.

Povero Johnny Calippo!

Gli aveva tolto il vizio una volta e per tutte di imboscarsi nell’erba alta, per fregarsi le pannocchie e poi rivenderle arrostite sul treruote!

Il Commissario si strofinò forte il naso a patata: “Che qualcun altro abbia deciso di cambiarsi il trattore?!”, ipotizzò.

Naaaa… con quella crisi?!

A malapena si potevano permettere di arare i campi con l’erezione mattutina.

Ma allora?!

Da dove saltava fuori quella testa?

E di chi era?!

Omicidio passionale?

Vendetta trasversale?

Camorra?!

Beh, ultimamente sembrava che quella c’entrasse sempre, in un modo o nell’altro.

In ogni caso, doveva andare a controllare di persona. Che cazzo ci potevano capire quelli di S. Maria a Vico?!

Ci voleva intuito, esperienza… colpo d’occhio e capacità di improvvisazione.

Insomma, ci voleva il Commissario Pasquale Iodice della Squadra Mobile di Caserta.

Vabbè, Aprile – sospirò rassegnato – mandami l’indirizzo del posto con un sms.

Ci vediamo là tra venti minuti.

E non fare tardi, che ti infilo le dita nell’accendisigari della macchina!”, lo minacciò sorridendo sadico.

Si divertiva sempre a inventarsi le torture più crudeli per spingerlo a collaborare.

Il messaggio, infatti, arrivò meno di dieci secondi dopo, puntuale come le mestruazioni di una suora di clausura: vicolo secondo di via Oberdan.

E – cazzo! – Aprile c’aveva aggiunto anche uno smile in coda al testo.

Ma che cavolo gli dice il cervello pure a quest’altro?!”, sbottò il Commissario cancellando in fretta l’sms. Gli faceva senso solo a guardarlo, quello scarrafone giallo sul display!

Avviò il motore e sbatté la prima dentro.

Via Oberdan la conosceva.

C’aveva fatto all’amore, da quelle parti, con una tipa che era entrata in Questura per denunciare uno scippo e – con le tette che si ritrovava – quasi se ne usciva con una querela per stupro.

Poliziotti: sempre arrapati come facoceri!

Alla fine, aveva dovuto scortarla fino a casa, prendendola sotto la sua benevola protezione… e poi, beh, si sa come vanno queste cose quando si ha a che fare con un bell’uomo come lui: da cosa nasce cosa e… insomma, erano stati assieme sei mesi, prima che lei lo lasciasse accusandolo di non lavarsi le ascelle.

Tsè, proprio lui che aveva persino comprato un deodorante, una volta!

Donne: valle a capire!

Imboccò il secondo vico di via Oberdan sgommando e stridendo sulle ruote. Era un uomo d’azione e gli piaceva dimostrarlo, di tanto in tanto.

Gli agenti del Commissariato di zona erano tutti impegnati coi rilievi, intenti a stendere nastri bicolore e tracciare segni a terra coi gessetti, come se dovessero giocare a campana. Lo fissarono ossequiosi, mentre scendeva ringalluzzito dalla macchina.

Si diede una sistemata ai calzoni, senza dimenticarsi di grattare un paio di volte il pacco, quindi si avvicinò alla testa, anche quella segnata con un bel cerchietto di gesso bianco sull’asfalto.

Si abbassò.

La testa aveva la carnagione chiara e i capelli incrostati di sangue secco, ma si intuiva che dovevano essere stati abbastanza lunghi.

Dal mento gli spuntava una barba di una decina di giorni. Un occhio era aperto: lo sguardo vitreo come una biglia.

Iodice si chinò ancora.

Riusciva a sentire distintamente l’odore di carne e sangue guasto. Il bordo del collo era scuro e irregolare come un merletto, sembrava davvero che il cranio gli fosse stato segato via, con metodo e applicazione.

Vivo o morto che fosse quel poveraccio, quando gli avevano fatto quel genere di servizio, l’avrebbero scoperto dalla autopsia del dottor De Filippo.

Ma che schifo però!

Il Commissario si rialzò di scatto, facendo scricchiolare le ginocchia.

Chi cavolo ce l’aveva infilata quella testa lì dentro, e perché?!

Sembrava un busto a grandezza naturale del Volto Santo.

Era questo che voleva l’assassino?

Farsi un santino in carne e ossa?

E non poteva comprarsi una statuetta di Padre Pio come fanno tutti?!

Adesso le fabbricavano pure con il saio di strass!

Dove stava andando il mondo?!

Si guardò attorno demoralizzato.

Aprile non era ancora venuto.

Tipico!

Bene, le sue dita se la sarebbero dovuta vedere con il paio di tronchesi che aveva nel cofano. Questo, almeno, gli avrebbe detto appena fosse arrivato: avrebbe fatto un salto che nemmeno Carl Lewis!

Sorrise sghembo, poi una fitta alla bocca dello stomaco gli fece venire in mente una cosa importante: minchia, era da mezzogiorno che non mangiava.

Che ci doveva fare se il lavoro gli metteva appetito?!

È segno di salute.

Si guardò attorno.

Se non ricordava male, doveva esserci una pizzeria, da quelle parti. Ci portava la tettona, una volta, e magari era ancora aperta.

Grugnì un paio di ordini agli uomini: isolare la zona, chiamare la scientifica, informare il pubblico ministero, sentire a sommarie informazioni i proprietari della casa con l’edicola votiva e i vicini.

Magari sarebbe saltato fuori qualcosa.

Seee, magari!

Quando succedeva un fatto, da quelle parti, sembrava che tutti fossero stati in vacanza sulla luna ed erano appena sbarcati con l’astronave.

Uscì dal vicolo ciondolando e svoltò un paio di volte.

La pizzeria doveva essere dietro il secondo angolo.

Margherita e birra, decise in anticipo.

Sì, le cose tradizionali sono sempre le migliori. Una volta aveva visto uno metterci sopra panna, wurstel e carciofini sott’olio: per poco non si alzava e gli rompeva una sedia in testa, depravato!

Pane, pizza e fantasia: non era la migliore pizzeria di Caserta però la mozzarella era buona e il cornicione alto. E poi c’aveva pure una foto della Lollobrigida, accanto all’insegna, tutta scollacciata… e… ehm… ma… cazzo!

Svoltato l’angolo, fissò l’ingresso del locale spiazzato.

Spalancò la bocca.

Dove cavolo erano finite le tette della Lollo?!

Al suo posto c’era un enorme spiedino di carne che girava attorno a una piastra rovente.

Che significava?!

Che fine aveva fatto la pizzeria?

Kebab, c’era scritto su una insegna bianca e blu.

Che roba era il kebabbe?!

Che c’entrava con la mozzarella in carrozza?

Si avvicinò a passo deciso, con le mani ficcate in tasca e lo sguardo torvo. Questa cosa andava chiarita una volta per sempre: “Tirate fuori la pizza.

E pure le tette della Lollobrigida!”, strepitò entrando di prepotenza nel locale. Un pungente odore di spezie e di cumino lo avvolse come una nebbiolina.

Due ragazzi marocchini dietro il banco lo guardarono prima sorpresi, poi una scintilla di stizza si accese nel loro sguardo: “Accà niente pizza.

Solo kebab!”, disse alla fine uno.

Tu vuole cous cous?

Falafel?!”, si sforzò di sorridere l’altro, indicandogli delle polpettine gialle in un vassoio sul bancone, di fianco a una zuppiera di insalata e pomodori maturi.

Fafa-che?!

Ma famm’ ‘o piacere!

Su, forza, datemi una pizza a portafoglio e la chiudiamo qua!”, strizzo l’occhio il Commissario.

I due ragazzi lasciarono perdere le friggitrici e – all’unisono – si asciugarono le mani nel grembiule: “Ti ha detto che qua non si mangia ‘a pizza!”, ringhiò uno.

Solo kebab!”, rinforzò il concetto l’altro.

Iodice si piazzò al centro del locale deserto, con le mani puntate nei fianchi: “Senti Mustafà, io non mi voglio arrabbiare, che già oggi ho avuto un pomeriggio di merda… su organizzami presto presto una margherita decente, che me ne devo tornare a lavorare”.

I ragazzi si fissarono ancora l’un l’altro, poi rivolsero di nuovo lo sguardo sul Commissario.

Atoni.

Almeno una salsiccetta coi broccoli!”, li scongiurò, sentendo ruggire lo stomaco. Se non avesse mangiato qualcosa entro i prossimi cinque minuti, gli sarebbe esploso come un pallone aerostatico.

A quella richiesta la sorpresa dei due uomini si trasformò in stizza, quindi in rabbia: “Qui non ce sta maiale, brutto infedele!”, ringhiò quello più giovane e più grosso, torcendo nervosamente il grembiule bianco, macchiato d’olio sul davanti.

Infedele?!

Non si era sentito chiamare più così dal suo secondo matrimonio!

Ma come ti permetti?!

Ma non lo sai chi sono io?!

Infedele lo dici a tua sorella!

Io, io… ti…”, ma non riuscì a terminare la frase che l’uomo era già saltato oltre il bancone e gli aveva stretto un braccio peloso attorno al collo.

Tu non parli di mia sorella: lei è pura come rosa di deserto, non come vostre donne truccate e puttane!”, ringhiò. “Ecco un altro maiale bianco – riprese poi -. Ma Allah è grande e noi ripuliremo il mondo da tutti questi infedeli!”, sputò fiele, stringendo più forte la presa.

Inshallah”, disse chinando il capo quello più anziano. Aveva dei baffetti ispidi e sopracciglia grosse come due tappeti persiani.

Ra-ga-zzi… – sibilò Iodice col fiato rotto – state facendo una stron-zata”.

I due si fissarono, sorridendo sarcastici: “Tu hai fatto stronzata, a entrare qui dentro.

Come quello che voleva parlare a noi de Gesù!

Solo Allah è grande, solo Maometto è il suo Profeta!”.

Inshallah”, biascicò ancora l’altro.

Iodice provò a divincolarsi, ma il giovane marocchino era troppo più forte e allenato. I bicipiti gonfi e scuri lo circondavano come un morsetto.

Basta… la-lasciatemi!”, minacciò e pregò assieme.

L’uomo coi baffetti, smise di mormorare una specie di nenia araba e gli puntò un dito sotto il naso: “Tu infedele.

Tu peccatore.

Tu offeso nostra sorella.

Tu adesso vedrai quanto Dio è grande e misericordioso”.

Poi si voltò verso il retro del negozio: “Mohammad!”, chiamò.

Mohammad!”

Dopo una manciata di secondi – da una tendina di corda che metteva la sala ristorante in comunicazione con un magazzino – uscì fuori un tizio completamente vestito di nero. Un grosso cappuccio di tela gli copriva la testa e il viso, lasciando solo una feritoia orizzontale per gli occhi.

Ecco, il Leone del deserto è tornato!”, disse l’uomo coi baffi, salutando il nuovo venuto.

Mohammad abbassò il capo soddisfatto, quindi alzò una lunga scimitarra sopra la testa. La lama brillò alla luce di una vecchia lampadina sul soffitto.

I nostri occhi sono all’erta per voi e le nostre mani sulle lunghe spade”, mormorò da sotto al cappuccio con un forte accento arabo.

E Roma – continuò minaccioso – sarà la seconda città del Califfato.

È questa la promessa del nostro Profeta!”, rise.

Inshallah!”, esclamarono in coro gli altri due.

Iodice spalancò la bocca sorpreso.

Ma dove cavolo era finito?!

Giusto al centro di una cellula dell’ISIS.

Ma perché sempre a lui?!

Ma non poteva essere rapito da un branco di maggiorate in vena di capricci?!

Un gruppetto di ragazze ubriache che volevano festeggiare con i fiocchi l’addio al nubilato?!

No, per lui ci stavano solo questi tre fanatici arabi e una cazzo di spada.

Lunga, pure!

Lo trascinarono di peso nel retro, dietro un tavolo di legno ingombro di fiaschette di plastica e un mucchio di scatoloni scarabocchiati. Su un angolo c’era una valigetta di pelle aperta, con qualche opuscolo appallottolato della Torre di Guardia dei Testimoni di Geova.

In ginocchio!”, ordinò Mohammad.

Iodice non si mosse.

Ginocchio!”, disse ancora indicando il pavimento.

Ma ho l’artrite!

Gesù!”, si lamentò il Commissario.

L’uomo nero gli puntò la spada davanti al petto, mentre l’altro gli diede un calcio nella schiena che lo fece crollare sulle gambe.

Gesù – disse il Leone – non è il vero Profeta.

Solo Maometto, è.

Pure l’altro parlava, parlava… Gesù accà, Gesù allà.

Poi Geova.

Ma chi è Geova?!

Zio di Gesù?!

Comunque io rotto coglioni di starlo a sentire e tagliato la testa, così lui diventato come Gesù.

Adesso chissà se felice in sua piccola, sporca chiesa, brutto maiale infedele!”, rise sarcastico.

Eccola là, aveva capito l’antifona: sarebbe finito anche lui in qualche edicola votiva di S. Maria a Vico a fare la bella statuina.

E va bene che coi Testimoni di Geova a volte ti viene davvero voglia di staccargli la capoccia e giocarci a pallone, ma che c’entrava lui?!

A lui mica era venuto in mente di andare a convertire gli Islamici?!

Ma che gli dice la testa a questi di Geova??

Che personaggi!

Beh, magari proprio per questo – nel suo caso, invece – l’avrebbero beatificato: un novello martire della cristianità.

Pasquale Iodice, Protettore delle vergini dissolute”, l’avrebbero chiamato.

Prega per noi!

Ma, un momento: prega un ciufolo!!

Lui, di vergini, avrebbe voluto ancora farsene un milione!

Ehm, un migliaio?

Un centinaio?!

Vabbè, non esageriamo, però almeno una decina sì. E che cavolo!

Provò a rialzarsi, cercando di fare leva sui polpacci grossi come palloni da rugby, ma un altro calcio nella schiena lo mise al tappeto.

Gli scappò un grido acuto, che si sarebbe sentito a dieci chilometri di distanza.

Eh?!

Commissario? Siete voi?!

Dove siete??”, sentì provenire la voce di Aprile dalla saletta ristorante.

Aprile, sono di qua!

Vieni!”, urlò Iodice.

I tre marocchini – compreso il Leone – si guardarono sorpresi, facendo rimbalzare i loro sguardi dall’uno all’altro. “Commissario?!”, esclamarono in coro.

Inshallah!”, aggiunsero.

Riavutisi dalla sorpresa, poi, i due del kebab mollarono i grembiuli e si diedero alla fuga, infilandosi velocemente in una porta sul retro.

Perché Allah sarà stato anche grande e misericordioso, ma in galera era meglio non finirci lo stesso!

Mohammad, col suo completino nero, rimase impalato al suo posto.

Quando Aprile entrò, gli si avventò contro lanciando un grido stridulo, come un berbero, ma un colpo ben assestato alla spalla, gli fece volare via la scimitarra, mettendolo a sedere sugli scatoloni.

Ma chi cavolo era quello?!”, chiese l’agente, riponendo la pistola e correndo verso il Commissario.

Ma che ne so, uno che non poteva soffrire né i Testimoni di Geova, né il maiale…”, si rimise in piedi Iodice, strofinandosi la schiena indolenzita con le palme delle mani.

Davvero?!

E io che ero entrato per farmi un bel panino con la salsiccetta!”, mormorò deluso l’agente.