Leader di te stesso

Michela non aveva mai risposto allo spam. Quelle mail che le intasavano la posta erano solo un fastidio. Se ne liberava con un click.

Come uno starnuto.

Però – quella mattina – l’immagine di un uomo sorridente e sicuro e quella scritta: “Leader di te stesso”, l’avevano incuriosita.

Insomma, non aveva cestinato l’annuncio come avrebbe fatto con quello di un detersivo o di un sito per cuori solitari.

Leader di te stesso, continuava a ripetersi, mentre stuzzicava la casella “elimina”, con la punta del cursore.

Cosa significava?!

Si guardò intorno, studiando le scrivanie delle colleghe. Erano tutte occupate a ticchettare isteriche sulle tastiere dei loro computer.

E vabbè”, si decise alla fine. Male non poteva fargliene, e si mise a leggere la breve lettera da capo a fondo, tutta di un fiato.

Siamo noi stessi a renderci le cose ancora più difficili, complicandole con pensieri limitanti e con scarse capacità di gestire le nostre emozioni…”, diceva l’uomo, brizzolato, sulla quarantina.

Occhio furbo e sorriso disarmante.

E ancora: “Abbiamo tutte le possibilità per ottenere grandi risultati, ma non sappiamo come utilizzare al meglio il nostro potenziale”.

Michela sospirò.

Quanto aveva ragione!

Quante volte si era sentita sopraffatta: dalla vita, dalla routine. Da un matrimonio ventennale, da due figli adolescenti e terribili.

Leader di te stesso…

Da quant’è che – lei – aveva perso completamente la leadership della sua vita?

Come?

Perché?!

Il riflesso, sul monitor, rimandava la sua immagine da ufficio: capelli neri come la pece, occhi azzurri, nasino all’in su e bocca tonda e rossa come una ciliegia matura.

Aveva quarant’anni, e si sentiva ancora tutta la vita davanti. Era sempre bella, come a vent’anni. E per di più misurata ed equilibrata.

E allora perché aveva rinunciato a essere se stessa? Ad uscire la sera, ad assaltare i negozi di vestiti, a tirare fino a tardi dal parrucchiere?

Perché aveva rinunciato alle sue ambizioni, accontentandosi di un impiego da segretaria d’azienda, mille euro al mese e ferie pagate.

Sospirò ancora.

No, non era troppo tardi.

Leader di te stesso, continuava a ripetersi, come un mantra, sordo e potente, che le avvolse il cervello come una coperta calda.

Sì – decise – lo faccio!”

La brochure che le avevano mandato quelli dell’Organizzazione, le proponeva un corso intensivo di due giorni, da svolgersi in una struttura nei boschi, in provincia di Avellino, alla fine del quale avrebbe finalmente compreso i reali obiettivi della sua vita, e avrebbe imparato ad utilizzare al meglio tutte le sue potenzialità, per oltrepassarne i limiti e riprendere in mano le sue naturali prospettive.

Una botta di vita, insomma.

Era quello che le serviva!

Spedì l’iscrizione senza pensarci più, compilandola con un largo sorriso che le affiorava sulle labbra. Certe cose si sentono – pensò – e quello era il momento giusto.

Non disse niente ad Aldo, suo marito. Non avrebbe capito, le avrebbe detto che era una delle sue solite stupidaggini, un colpo di testa inutile e pure costoso. Sempre a pensare ai soldi, quello là.

Senza più nessuna poesia.

Gli disse solo che sarebbe andata due giorni da sua sorella, a Vercelli, che si era rotta un piede e aveva bisogno di qualcuno che l’aiutasse.

Gli sarebbe bastato.

Non faceva mai troppe domande, lui. L’importante era che avesse il frigo pieno e il digitale terreste carico. Poi, sarebbe pure potuta scoppiare la terza guerra mondiale: se ne sarebbe accorto soltanto qualora fosse finita la birra.

Povero lui!

L’Auditorium – il giorno della Convention – era pieno come un uovo.

Dopo l’attesa iniziale, le formalità di rito, l’accredito, l’apertura alle 10, Michela finì infilata tra un omone che era grande il doppio di lei ed un ragazzo con lo smartphone sempre attivo.

Fila M, posto 5.

Dopo una coppia di improbabili artisti di strada, infilati per distrarre il pubblico che si andava sistemando in sala, finalmente, fece il suo ingresso sul palco Fabio Byron, ex anchorman di una importante trasmissione televisiva, ma soprattutto autore del Best seller: “Non mentire a te stesso!”, guida teorico-pratica al successo nella vita.

Il suo saluto ai presenti – un urlo stridulo e acuto, coi pollici alzati come frecce verso il cielo – venne accolto da uno scroscio di urla e applausi, che, poi, ci vollero almeno dieci minuti buoni, perché potesse finalmente prendere la parola.

Un leader – disse Fabio illuminando i presenti col suo sorriso smagliante – si assume la responsabilità del suo gruppo, un leader di se stesso si assume la responsabilità della propria vita”.

Altri applausi.

C’era gente che scattava foto, che filmava coi cellulari ogni frase, per poi interiorizzarla. Farla sua, e restituirla alla sua vita, in una nuova dimensione. Quella del successo e della gratificazione.

Le ore volarono, si era fatta sera e Michela non si era mai mossa dalla sua poltrona rossa. Nemmeno per andare in bagno. Nemmeno per spiluccare qualcosa dal buffet. Rimase per tutto il tempo ad ascoltare e a rimandare a memoria le frasi più efficaci di Fabio Byron.

Come se avesse appena riscritto i Vangeli.

A cena, finalmente, Michela decise di sedersi a mangiare qualcosa.

Era stata una giornata intensa e a lei servivano energie, per continuare quella sua splendida avventura. L’indomani, poi, avrebbe tirato le fila, avrebbe fatto i conti con sé stessa e con la propria vita.

Arrivò al buffet, navigando a vista tra le schiene degli altri compagni d’avventura. Alla fine, riuscì a farsi mettere nel piatto un pezzo di lasagna.

Stava per scavarne un pezzetto con la forchetta, quando si sentì osservata.

Una strana sensazione le afferrò la base del collo.

Si voltò di scatto e si ritrovò immersa negli occhi verde smeraldo di Fabio.

Tu – disse prendendole una mano – tu sei piena di motivazione, dentro”.

Michela, al contatto con la sua pelle morbida e la sua presa salda, come quella di un’aquila reale, smise di respirare per un minuto intero.

S-ssì”, riuscì a mormorare alla fine.

La guardò fissa: “Tutti noi siamo la somma totale delle decisioni che abbiamo preso nella nostra vita, dal nostro primo vagito, fino ad ora”, disse ancora Fabio, sorridendo con la sua dentatura bianca e perfetta.

Michela, questa volta, riuscì ad annuire.

Ho deciso: tu, stasera, camminerai sui carboni ardenti. Ce la puoi fare, io lo so”, disse con tono deciso Fabio.

Carboni ardenti? I-io?”, balbettò lei.

Sì: tu hai una grande motivazione dentro!”, e uscì dalla sala con passo deciso.

Dopo quelle parole, Michela poggiò il piatto su un tavolo vuoto e non riuscì più a toccare una briciola per tutto il resto della cena.

Possibile?”, continuava a ripetersi. “Io?

Sui carboni ardenti?

No, non ce la farò mai!”, pensò rattristata.

Andò in bagno.

Si inumidì i polsi e il collo, sentì la carotide pulsare come un martello pneumatico, mentre ripensava a quello che aveva davanti. Carboni ardenti…

Chi glie lo avrebbe mai detto!

Fissò lo specchio, occhi negli occhi: “Sì – si risolse alla fine – ce la posso fare.

Ho un sacco di motivazione, dentro!”, sorride determinata.

Quindi, uscì in giardino.

Era quasi mezzanotte e la luna illuminava le cime degli alberi. Scese due rampe di scale, illuminate da fiaccole a olio. Gli altri partecipanti alla Convention, l’avevano preceduta presso un angolo del parco, in una piccola radura tra gli alberi, illuminata da altre fiaccole.

Alla luce tremolante delle torce, distinse un brillante tappeto rosso e due ali di folla da ambo i lati.

Si avvicinò titubante.

Vieni cara”, la chiamò Byron. Si era infilato un lungo saio bianco, e aveva i piedi nudi che affondavano nell’erba. “Tutti noi – continuò – crediamo in te. E tu, credi in te stessa?”, sorrise risoluto.

Michela annuì. Prima titubante, poi sempre più decisa. Si avvicinò a piccoli passi al tappeto e, man mano che avanzava, notò delle sfumature di colore brillanti ed accese illuminarne la trama.

Quando fu a un paio di metri dalla gente e dal tappeto, si rese conto che quello – in realtà – non era per niente un persiano, ma uno stuolo di carboni accesi, che illuminavano i volti degli astanti.

Avevano tutti un’espressione strana: gli occhi spalancati, le labbra umide. Sembravano invasati.

Ingoiò saliva, cercando di mandare giù anche il grosso nodo che le stringeva la gola.

Un battito di mani, secco e cadenzato, accompagnò i suoi ultimi passi.

Quando fu sul bordo del camminamento ardente, Byron la prese delicatamente per una mano: “Come ti chiami?”, le chiese.

Michela”, rispose lei, con la voce tremante, per l’emozione e la paura.

Michela – disse ancora Byron – devi solo continuare a ripeterti: Io ce la posso fare, io ce la posso fare.

Non guardare il percorso, guarda soltanto la meta, al di là del fuoco”, indicò con un dito l’altra estremità del sentiero luminoso.

Si inginocchiò davanti a lei: delicatamente, le sfilò prima una scarpa, nera, lucida, col tacco dodici. Poi l’altra.

Michela rimase con i piedi nudi, nell’erba umida. Sentiva il calore dei carboni che le carezzava le gambe, fasciate in un tubino nero di raso, stretto in vita da una cinta dello stesso tessuto. Il seno florido pulsava sotto la scollatura, in sincrono col suo cuore.

Vai Michela – disse Fabio spingendola verso il tappeto luminoso – sei piena di motivazione, dentro”.

Michela si lasciò convincere, dalla sua voce calda e da quella sensazione di potenza che le era nata in mezzo al petto, e che le stava bruciando le viscere come olio bollente.

Ce la posso fare – pensò, affondando il primo passo nelle braci – sono piena di motivazione, dentro”, aggiunse per rafforzare il concetto.

Il calore le investì le piante dei piedi, quindi le cosce.

Ma la sua determinazione era più forte di tutto. Più forte di suo marito, delle sue colleghe, del suo capo, di tutti quelli che non avevano creduto in lei, di tutti quelli che non pensavano che ce l’avrebbe fatta. Che la volevano relegata a una vita insulsa e inutile.

No, lei no.

Lei ce l’avrebbe fatta. Lei avrebbe tenuto chiaro l’obiettivo, e avrebbe attraversato il fuoco e allo stesso modo – un passo dopo l’altro – avrebbe riattraversato la sua vita e l’avrebbe rimessa a posto.

Sì, si sarebbe scottata, magari, ma – alla fine – tutto il buono che c’era in lei, sarebbe venuto fuori.

Come aveva detto Fabio Byron: era piena di motivazione, dentro!

Passo dopo passo, Michela arrivò a metà del percorso di braci.

Il calore era forte, ma sopportabile.

Le mani dei suoi compagni di avventura, la incitavano, con un incedere lento e persistente.

Un colpo dopo l’altro, un passo dopo l’altro.

A tre quarti del suo cammino, guardò in alto, poi in basso e, per un attimo, si sentì girare la testa. Una sensazione di debolezza la invase.

Come un buco nello stomaco.

Cavolo, avrebbe dovuto mangiare qualcosa!

Un calo degli zuccheri, un collasso. Insomma, qualcosa la spinse giù.

Le gambe le divennero molli come cera e si sciolsero sui carboni ardenti.

Cadde nel fuoco: il raso del vestito, prese fuoco quasi istantaneamente, avvolgendola in una folata bollente. E così i suoi capelli, che da neri come la pece, divennero luminosi come l’aurora.

Riuscì a fissare negli occhi Byron per l’ultima volta, prima che le fiamme le bruciassero le pupille. Poi il suo corpo avvampò completamente e restò inerte, sui carboni.

Rimase così almeno quindici minuti, prima che due uomini – venuti fuori dal gruppo – la afferrassero con due lunghe roncole e la rigirassero, prima su un lato, poi sull’altro, per altri quindici minuti.

Alla fine, quando fu cotta a puntino, Michela venne fatta a pezzi e – come in una ultima cena – distribuita da Byron a tutti i partecipanti che, assaggiandola – con applausi e fischi di approvazione – non poterono fare a meno di apprezzare quanto Michela fosse davvero piena di motivazione, dentro.